Per iniziare ho scelto una collana, “Lo specchio” della Mondadori, che dispensa opere altissime dal 1940, sia di poesia che di narrativa, un autore, Salvatore Quasimodo, grande poeta del XX secolo, e una raccolta, “Giorno dopo giorno”, che ha un significato profondo sia singolarmente, in ognuno di questi tre elementi, che nell’insieme, nel suo essere un corpo unico.

Come spiega molto bene Carlo Bo, nel cappello introduttivo, in questa raccolta “ [...] il poeta insiste sulla cifra totale della sua delusione” verso la bestia umana, siamo all’interno della seconda guerra mondiale, anche se poi il libro uscirà nel 1946 con un altro titolo, “Con il piede straniero sopra il cuore”, con introduzione di Giancarlo Vigorelli, e poi nella sua versione definitiva nel 1947.

Quello che mi rimane di questa raccolta è il “forse” ripetuto spesso, anche nei titoli, così necessario in un periodo di conflitto, per cercare di capire cosa si possa aver sbagliato, e come dovrebbe del resto essere anche oggi, un forse che invece è così lontano dalla convinzione odierna, dalla sapienza strafottente dei nostri giorni, ognuno con le proprie verità in tasca, apprese chissà dove: forse su qualche social, forse da qualche telegiornale dove ormai neanche serve più essere un giornalista, un giornalista vero intendo, forse da qualche testata faziosa, finanziata da questo o da quello, o forse semplicemente pensate, senza neanche leggere quel poco, associando ipotesi sconclusionate a quella costante sensazione di essere vittime di un complotto. Il forse dovrebbe essere l’anima di un nuovo inizio per uscire dall’impasse che la facile notizia, e quindi anche la facile fake, hanno portato nelle menti delle persone. Oggi, spesso, non siamo capaci di metterci in discussione, di mettere un forse davanti alle nostre verità, sempre così facili e lineari, come se la verità fosse la teoria di una scienza esatta.



Giorno dopo giorno / Salvatore Quasimodo; con una introduzione di Carlo Bo

Milano: A. Mondadori, 1949

19 gennaio 1944

 

Ti leggo dolci versi d'un antico,
e le parole nate fra le vigne,
le tende, in riva ai fiumi delle terre
dell'est, come ora ricadono lugubri
e desolate in questa profondissima
notte di guerra, in cui nessuno corre
il cielo degli angeli di morte,
e s'ode il vento con rombo di crollo
se scuote le lamiere che qui in alto
dividono le logge, e la malinconia
sale dei cani che urlano dagli orti
ai colpi di moschetto delle ronde
per la vie deserte. Qualcuno vive.
Forse qualcuno vive. Ma noi, qui,
chiusi in ascolto dell'antica voce,
cerchiamo un segno che superi la vita,
l'oscuro sortilegio della terra,
dove anche fra le tombe di macerie
l'erba maligna solleva il suo fiore.